L’abolizione dell’imposta sulle successioni e donazioni durante il precedente Governo Berlusconi e la preoccupazione della sua reintroduzione (puntualmente avvenuta con il Governo Prodi) ha portato in quel periodo molte persone del ceto medio a donare ai figli i propri beni immobili riservandosi l’usufrutto, vita natural durante.
La motivazione di tali atti di donazione (che hanno consentito il trasferimento di immobili anche di ingente valore a costo fiscale quasi zero) si è fondata anche sulla rassicurante considerazione che, in fondo, il godimento dei beni restava in pieno al donante fino alla sua morte; solo al momento di questa, il godimento si sarebbe ricongiunto alla nuda proprietà (cd. consolidazione dell’usufrutto, non soggetta ad imposta neppure nel vigente ordinamento).
In questa sede si vogliono indicare, in modo del tutto frammentario ed incompleto, alcuni rischi cui restano però soggetti non solo i donanti ma anche gli stessi beneficiari della donazione.
Per quanto riguarda i primi, è da ricordare che anche la nuda proprietà di un immobile può essere di per sè oggetto di atto di vendita o comunque essere incisa da pesanti vincoli di natura reale (esempio l’ipoteca).
Di certo non farà piacere all’anziano genitore che a suo tempo è stato così generoso, veder mettere in vendita dal figlio la nuda proprietà del suo appartamento. A ciò seguirà — specie se il figlio si affida ad un’agenzia immobiliare — l’immancabile andirivieni di persone interessate all’acquisto, le quali, molto brutalmente, chiederanno al vecchio padre la sua età per farsi un calcolo approssimativo di quanto dovranno aspettare per poter fruire, con la sua morte, dell’immobile acquistato oggi solo in nuda proprietà.
Ancora: il donante in genere si determina al trasferimento gratuito ai figli della nuda proprietà dell’immobile fidando sui contanti o su altri valori mobiliari che possiede; questi restano nel suo patrimonio e nella sua disponibilità: nella prospettiva prudente del donante sono destinati a dover far fronte alle esigenze della vecchiaia o di una eventuale lunga e costosa malattia.
Ma l’aspettativa di vita si è allungata: gli anni passano e la svalutazione monetaria erode di giorno in giorno il valore delle disponibilità liquide. Dopo 20 o 25 anni dall’avvenuta donazione, chi può assicurare il donante, anziano e malato, di non avere necessità di convertire in liquidità quegli immobili ormai non più suoi perchè a suo tempo donati in nuda proprietà ?
Ma anche per i figli donatari i rischi non mancano.
Con l’atto di trasferimento della nuda proprietà i figli si sentono sicuri e tranquilli di aver definitivamente acquisito la proprietà dell’immobile di cui poi, con la morte del genitore, potranno liberamente godere. Ciò, tuttavia, presuppone la permanenza e l’immutabilità del nucleo familiare così come era composto al momento della donazione.
Senonchè, l’introduzione del divorzio ha reso sempre più precario l’originario assetto familiare creando nuovi nuclei familiari; per tal via la sicurezza dei beneficiari delle anzidette donazioni risulta fortemente minata. Si pongono infatti delicati problemi di compatibilità dell’attuale diritto di famiglia con il sistema di diritto successorio concepito dal legislatore del 1942 ed imperniato sulla stabilità ed immutabilità della famiglia fondata su un unico matrimonio.
Immaginiamo che Tizio, padre cinquantenne, abbia compiuto questi atti di donazione in favore dei figli.
Successivamente incontra un’altra donna e nell’arco di quattro, cinque anni divorzia dal coniuge, madre dei figli donatari e si risposa avendo altri figli.
Il primo coniuge con il divorzio perde lo status di legittimario, esso non ha più diritto ad una quota sul patrimonio ereditario che la legge gli riservava.
Con il nuovo matrimonio, il secondo coniuge invece acquisisce lo status di legittimario. E tale status acquisiscono anche i figli eventualmente nati dal secondo matrimonio.
Muore Tizio, ci si chiede: il diritto riservato al coniuge superstite ed ai di lei figli investe il patrimonio nella consistenza che esso aveva al momento del secondo matrimonio ovvero investe il patrimonio complessivo comprese le donazioni effettuate prima di contrarre il secondo matrimonio ?
Com’è noto, al momento della morte si ha “la ricostruzione” del patrimonio ereditario nel senso che a quanto lasciato dal defunto si aggiungono le donazioni fatte in vita e sul totale si calcolano le quote riservate per legge a coniuge e figli.
Nel caso da noi ipotizzato, la ricostruzione del patrimonio ereditario deve tener conto anche delle donazioni precedentemente fatte ai figli nati dal primo matrimonio ?
Al relictum si aggiungono o non si aggiungono i beni donati ai figli prima di contrarre il secondo matrimonio ?
Istintivamente verrebbe di rispondere, in un’ottica patrimonialistica, che il secondo coniuge deve soddisfare le proprie ragioni di legittimario soltanto sul patrimonio che Tizio aveva al momento in cui ha contratto il nuovo matrimonio e che successivamente si è incrementato ovvero impoverito.
Sempre in un’ottica di ragionevole tutela dell’affidamento delle ragioni creditorie dei legittimari venuti ad esistenza per effetto del secondo matrimonio, dovrebbe sostenersi che al momento in cui contrasse il nuovo matrimonio il coniuge non faceva proprio affidamento sui beni che già anni prima erano usciti dalla sfera giuridico-patrimoniale del consorte.
Ma qui emerge tutta la contraddizione di una disciplina del diritto successorio, ferma agli anni della sua emanazione (1942) ed imperniata sul presupposto della indissolubilità del matrimonio, con una disciplina del matrimonio e del divorzio che si è innovata profondamente seguendo il costume sociale.
Benvero, l’art. 556 c.c., che stabilisce la determinazione della porzione disponibile rispetto a quella riservata ai legittimari, è univoco nel senso che ai beni lasciati dal defunto al tempo della morte “si riuniscono fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione …… e sull’asse così formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre” e quella, per converso, di cui non poteva disporre perchè riservata ai legittimari.
La legge considera patrimonio ereditario tutto ciò che è stato acquisito dal defunto nel corso dell’intera sua vita. L’art. 556 c.c. non distingue infatti il tempo in cui il donante si è privato dei beni, nè prende in considerazione chi in quel momento aveva lo status di coniuge o di figlio del donante. Tutti i beni usciti dal patrimonio del defunto, quale che sia l’epoca, debbono fittiziamente rientrare nel computo dell’asse ereditario.
E la stima degli immobili donati va fatta con riferimento al valore che hanno al momento dell’apertura della successione, non già a quello che avevano al tempo in cui fu fatta la donazione.
é dunque molto probabile che il secondo coniuge e i di lei figli sulla base di un asse ereditario così calcolato (dal quale risultano eventualmente lese le rispettive quote di legittima) possano intraprendere un’azione di riduzione contro le donazioni fatte dal defunto ai figli del primo matrimonio.
Sarebbe auspicabile che la disciplina legislativa in materia successoria fosse riformata su questo punto mettendosi al passo con quella del diritto di famiglia nel senso di fissare la data del secondo matrimonio come limite temporale fino al quale da parte del secondo coniuge possono aggredirsi a ritroso le donazioni. Dovrebbe cioè prevedersi che in caso di secondo matrimonio i diritti del coniuge legittimario possano essere soddisfatti solo sulla parte del patrimonio così come esistente al momento delle nuove nozze e poi, eventualmente, implementato nel corso del nuovo rapporto coniugale.
Come peraltro già, in via pattizia, avviene negli Stati Uniti in sede di accordi prematrimoniali (non ammessi nel nostro ordinamento) tra nubendi che hanno contratto precedenti matrimoni sciolti per divorzio.
Ancor più precario è l’acquisto per i figli legittimi se dopo anni dalla donazione il genitore riconosce — o viene comunque giudizialmente accertato in base al DNA — un figlio naturale nato da una relazione extraconiugale: questi è un legittimario a tutti gli effetti.
In conclusione, allo stato dell’attuale legislazione, è prudente non ingenerare, con donazioni anticipate ai figli, affidamenti sull’appartenenza di proprietà immobiliari che potrebbero essere caducate in un successivo momento con gli avvilenti strascichi giudiziari che è facile prevedere.
Se si considera poi quanto è stato rilevato all’inizio con riguardo alla posizione del donante, il succo che si trae dal discorso svolto è il seguente: meglio attendere che l’evento naturale della morte si compia e ad esso seguano gli effetti giuridici successori con i relativi costi fiscali.
D’altro canto, la saggezza contadina insegnava che “la gallina si spenna quando è morta”


Fonte: Il Denaro

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