L’istituto Superiore di Sanità studia nuove regole per diminuire le nascite in sala operatoria. Il record italiano


ROMA – Se il bambino si presentava di piedi non c’era problema. L’ostetrica eseguiva con sapienza manovre esterne sul pancione materno e lo accompagnava nella posizione giusta, pronto a tuffarsi di testa verso la vita dopo nove mesi di gravidanza. «Bisognava conoscere bene l’anatomia – racconta Delia, oggi in pensione, che ha fatto rigirare decine di neonati -. Innanzitutto capire da quale parte si trovava il dorso e poi utilizzare lo spazio addominale come palestra dove il piccolo potesse fare la mezza capriola. Nessun dolore per la donna. E che soddisfazione quando l’esercizio riusciva». Oggi il rivolgimento del feto podalico è una pratica quasi del tutto dimenticata.
LINEE-GUIDA – E andrebbe assolutamente ripristinata secondo gli epidemiologi dell’Istituto Superiore di Sanità, al lavoro sulle prime linee guida nazionali «per la promozione dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo». La scomparsa del rivolgimento viene indicata come una delle cause del continuo aumento di parti chirurgici. In Italia il parto cesareo è passato dall’11% delle nascite totali negli anni ’80 al 38% del 2005, mentre la soglia stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è del 10-15%. Macroscopiche differenze tra le Regioni: 23% a Bolzano, 60% in Campania. Coordina lo studio Alfonso Mele, responsabile del programma Linee Guida dell’Iss, con Serena Donati e Giovanni Baglio. Tra l’altro saranno previsti corsi di formazioni specifici per ricondurre le ostetriche alla vecchia arte. Si comincia da una considerazione. Non ci sono evidenze che il maggiore ricorso ai cesarei sia associato a fattori di rischio di mamma e bambino. Alla base del fenomeno c’è invece un comportamento non appropriato degli operatori dei centri maternità generato da carenze strutturali e organizzativi e ad aspetti culturali.


NORME E CULTURA – Difende la categoria Maria Vicario, presidente della Federazione dei collegi delle ostetriche, proprio nella Giornata internazionale delle ostetriche, che si celebra oggi: «Il rivolgimento fa parte del programma dei nostri corsi ma lo pratichiamo solo con simulazioni. Io in carriera l’ho eseguito solo un paio di volte. E’ caduto in disuso. Inoltre non fa parte delle prestazione a noi consentite, elencate nella legge del novembre del 2007. La percentuale di bambini podalici è bassa, l’1-2% dei nati. Non è così che argineremo l’eccesso di cesarei». Ha qualche dubbio Domenico Arduini, ginecologo, università di Tor Vergata: «Il rischio non vale la candela. Sono manovre che possono essere pericolose per mamma e figlio e e non sempre trovano un’indicazione. Il feto deve pesare meno di 3 chili». Secondo Arduini per restituire più in generale al momento del parto la sua naturalezza sottraendolo alla medicalizzazione occorrerebbe cambiare la cultura di operatori e mamme: «Oggi nessuna vuole affrontare l’idea che un travaglio duri oltre le otto ore e invece può essere molto più lungo. Inoltre nella classe medica e tra i ginecologi è diffuso il timore risarcitorio. Preferiamo evitare ogni rischio. E il cesareo si offre come la strada più sicura in caso di podalico». E sempre in tema di parti, è sempre aperto il dibattito sulle nascite in casa, come ai tempi della nonna. Scelta romantica, ancora suggestiva. L’1% dei bambini liberano il primo vagito sul lettone di casa, contro il 2% della Gran Bretagna e il 30% dell’Olanda. Era normale fino agli anni Cinquanta e Sessanta. L’offerta di centri maternità più comodi e attrezzati ha fatto quasi del tutto dimenticare il percorso domiciliare. Molto dipende dal tipo di assistenza su cui si può contare. Alcune Regioni sono bene organizzate, non tutte prevedono il rimborso completo. I ginecologi sono contrari per ragioni di sicurezza. Negli Usa c’è una terza alternativa. L’Abc, alternative birth center. La stanza della puerpera viene trasformata in un piccolo ospedale.


tratto da IL CORRIERE DELLA SERA

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