Il termine inglese “stalking” (letteralmente perseguitare) indica quegli atteggiamenti tramite i quali una persona ne affligge un’altra con intrusioni, appostamenti, tentativi di comunicazione ripetuti ed insistenti, oltre che indesiderati. Il molestatore assume cioè un comportamento tale da creare uno stato di ansia e di paura nel destinatario delle sue attenzioni.
E può essere chiunque: dallo sconosciuto al collega di lavoro, da un familiare all’ex fidanzato.
I dati rimandano ad una situazione in cui vittime sono prevalentemente le donne, di età compresa tra i 18 e i 24 anni. Il fenomeno è oggetto di studio da parte di psichiatri e criminologi, oggi più che mai, oggi che è stato inquadrato in una definizione ben precisa anche a causa di eventi di cronaca tristemente noti. L’identikit dello stalker, tracciato dalle ricerche più significative condotte in ambito europeo, riporta ad un individuo caratterizzato da un’intensa fissazione ideo-emotiva che si traduce in azioni intrusive e continue.
Le motivazioni per cui il reo agisce sono varie. Il molestatore può essere un “risentito”, un “bisognoso d’affetto”, un “corteggiatore incompetente”, un “respinto” e finanche un “predatore”.
Comunque lo si voglia chiamare, la fonte è sempre un disturbo ossessivo contro il quale purtroppo  non è stata ancora predisposta una tutela giuridica adeguata. Con la conseguenza che il molestatore può agire a lungo indisturbato, con effetti psicologici negativi per la vittima, che rischia di conservare  delle vere e propie ferite. Quando, “fortunatamente”, solo di ferite si tratti….

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