È stupro anche se lei è «sessualmente spregiudicata» e offre un profilattico all’uomo che si accinge a violentarla. Lo chiarisce la Corte di Cassazione pronunciandosi sul caso di una ragazza che minacciata di essere licenziata dal suo datore di lavoro ebbe un rapporto sessuale con lui portando all’incontro un preservativo. Per la Suprema Corte «non vale ad escludere il dissenso della donna il fatto che offra un profilattico a l’uomo che si accinge a consumare il rapporto sessuale, posto che anche la donna violentata nella sua libertà sessuale può cercare di evitare ulteriori danni o pericoli» come «gravidanze indesiderate o di malattie trasmissibili per via genitale».


I fatti. La terza sezione penale (sentenza 22719), ha reso definitiva la condanna per violenza sessuale (2 anni, 2 mesi e 20 giorni di reclusione con le generiche) nei confronti di Gabriele I., un 60enne della provincia di Macerata che nell’agosto del ’97 aveva costretto la barista che lavorava con lui di 17 anni S. V. a congiungersi carnalmente con lui «con la minaccia che, in caso di rifiuto, non l’avrebbe più fatta lavorare» nel suo bar. La ragazza, spiega la sentenza, «sessualmente spregiudicata subì la minaccia e per il primo incontro si munì di preservativo. In seguito ebbe altri rapporti consenzienti con l’uomo che le aveva detto di amarla e che lei contraccambiava». Su quest’ultimo punto la Corte ha chiarito che nulla esclude che la donna che «abbia subito per violenza o minaccia un primo rapporto sessuale indesiderato acconsenta poi liberamente a ulteriori a rapporti con lo stesso uomo per motivi sentimentali o edonistici».


La ragazza denunciò l’uomo per quel primo rapporto estorto e sia il gup del Tribunale di Macerata (ottobre ’98) sia la Corte di appello di Ancona (gennaio 2007) condannarono Gabriele I. per il reato previsto dall’art 609 bis C.p.. Inutilmente Gabriele I. si è rivolto alla Cassazione sostenendo contraddittorietà della motivazione laddove la sentenza aveva ritenuto che la ragazza era stata «vittima del ricatto sesso-bar-lavoro, e dall’altra aveva preso atto della sua personalità sessualmente spregiudicata». Inoltre il datore di lavoro si era difeso sostenendo ancora che era «logicamente poco credibile che il primo rapporto sessuale fosse stato coartato e gli altri frutto di innamoramento».


Per effetto dell’inammissibilità del ricorso Gabriele I. è stato condannato al pagamento delle spese processuali e a versare mille euro alla cassa delle ammende.


IL MESSAGGERO

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