Oggi è la festa del papà.


Per molti padri ancora lo è. Per altri è un giorno da dimenticare.


E’ inutile negarlo.


Nel nostro Paese, al di là della Legge 54/06 che ha introdotto l’affidamento condiviso, la paternità è considerata una genitorialità del tutto eventuale ed accessoria.


Lo dico da tecnico della materia, con il massimo rigore morale, prendendo spunto dalle mie esperienze giudiziarie un po’ dovunque.


La suddetta legge del mio caro amico e Collega, Maurizio Paniz, nonostante gli sforzi e i buoni propositi, non ha di fatto cambiato né la cultura giudiziaria né, tantomeno, quella sociale.


In pratica, è stata modificata l’etichetta, ma il vino è sempre lo stesso.


Nonostante tutto, oggi l’affidamento condiviso è, e resta, una scatola vuota, priva di significato e contenuti.


Salvo che in rari casi di pochi Tribunali, i tempi concessi ai figli e ai padri per stare insieme sono quelli di una volta, quando l’affidamento esclusivo delle prole alla madre era una regola indiscutibile.


In buona sostanza, nel nostro Paese si fanno leggi (come la 54/06) soltanto per cambiare nome alle cose.


E quasi mai per cambiare la sostanza.


Di solito, i padri separati e/o divorziati possono incontrare i figli due volte a settimana, ogni due fine settimana alternati, 15/30 giorni in estate, Natale e Pasqua ad anni alterni.


Tempi del tutto simbolici che delegittimano il ruolo della paternità. E ciò è assolutamente inaccettabile sotto il profilo umano, sentimentale, educazionale e, soprattutto, sociale.


Se tutti quanti noi del settore riconosciamo il principio della tutela della bigenitorialità, allora dobbiamo essere coerenti.


Affidamento condiviso (io parlerei di responsabilità condivisa) significa non prevedere limiti ad entrambi i genitori.


Significa, altresì, aiutarli, attraverso la mediazione familiare, a recepire il concetto che si è genitori per sempre su un piano di perfetta parità, tra padri e madri, sotto ogni profilo.


Attualmente, è la stessa L. 54/06 che agevola questo stato di cose.


Prevedere che due genitori che si odiano a morte (poveretti!) possano condividere “per forza” un percorso educativo dei figli è quanto di più insensato si possa contemplare.


Ciò che manca è la fase dell’analisi della effettiva volontà dei genitori, separandi o divorziandi, di rispettarsi a vicenda e rispettare i figli.


Manca chi li educhi a fare i genitori, ancora prima di incontrare il magistrato.


Non si può imporre il buon senso per legge. Lo si costruisce e lo si incentiva.


A mio parere, dunque, la L.54/06 deve essere cambiata ed integrata nella parte in cui non prevede l’intervento del mediatore familiare, prima della udienza presidenziale.


Soltanto così la paternità potrebbe essere riesumata e madri e padri separati potrebbero essere pronti a condividersi una solenne responsabilità genitoriale.


Ovviamente, la annosa questione della “paternità calpestata” non è risolvibile soltanto attraverso l’introduzione ante causam della mediazione o, come si spera, attraverso l’agognato Tribunale della Famiglia (progetto tanto caro all’AMI).


La questione è essenzialmente socio-culturale.


Bisogna intervenire sulla coscienza della gente.


La bi genitorialità deve essere patrimonio del “comune sentire”.


Occorre un’opera di sensibilizzazione che conduca a pensare che i diritti dei figli sono la priorità e che essi non sono proprietà dei genitori.


E’ necessario inculcare tali concetti già nelle scuole, nei talk shows televisivi, nei programmi di intrattenimento.


Occorre che la politica ritenga di investire su nuovi valori della famiglia.


Il padre e la madre devono essere considerati come le facce della stessa medaglia (e non due mondi contrapposti).


Anche noi giuristi abbiamo grandi responsabilità storiche, rispetto all’attuale stato di cose.


Troppe volte ci si è rassegnati all’esclusione del padre dalla vita dei figli, partendo dal presupposto che le madri ce l’avrebbero fatta da sole perché, in fondo, i padri sono solo un “fastidio”.


Ci siamo attirati le antipatie di tanti padri separati (e delle loro famiglie), pur sapendo di sbagliare.


La Giustizia non è tale se produce discriminazioni.


E’ la discriminazione in danno della paternità è storia, e non un’opinione.


L’AMI ha ragione di esistere (e il nostro statuto parla chiaro) soltanto fin quando avrà la forza ed il coraggio di prendere posizione contro ogni pregiudizio.


Lo abbiamo fatto su tutti i fronti.


Lo faremo per tutti. Senza distinzioni né mala fede.


Vogliamo una società diversa e un nuovo diritto di famiglia, in cui accanto al diritto dei genitori di separarsi ci sia quello dei figli di condurre una vita quanto più vicina alla normalità.


Tanti auguri a tutti i papà.


 


 


                                                                                Gian Ettore Gassani


                                                                   Presidente Nazionale AMI

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