ROMA (30 gennaio) – I professori, soprattutto se hanno a che fare con classi di ragazzini adolescenti, devono avere «pazienza e tolleranza, oltre alle specifiche conoscenze psicopedagogiche dell’età evolutiva» per affrontare le ore di lezione con allievi che sono considerati «casi difficili» per i loro comportamenti turbolenti. Lo sottolinea la Cassazione, che ha riconosciuto la mancanza del requisito della «giusta causa» nelle dimissioni presentate da un insegnante di lettere della scuola media del Conservatorio S. Annunziata di Firenze.
Massimo C., docente contrario ai «metodi soft» che i suoi colleghi intendevano usare nei confronti di un allievo della prima media particolarmente agitato, ha deciso di lasciare. Fin dall’inizio dell’anno, appena arrivato in prima media, nel settembre 1999, il ragazzino in questione – adottato da una famiglia fiorentina e proveniente da un orfanatrofio brasiliano, con alle spalle cinque anni di vita nelle favelas – aveva mostrato un «carattere aggressivo» e aveva compiuto «episodi gravi», fra cui rinchiuso la classe e gettato via la chiave; dato un calcio a un professore rivolgendogli espressioni triviali; scagliato un barattolo di vernice contro una cassettiera e aveva agitato un ombrello contro un altro docente.
Stressato da tanta indisciplina, il professore di lettere – anch’egli preso di mira dal ragazzino – voleva che fossero presi provvedimenti disciplinari e riteneva la scuola, in quanto datore di lavoro, obbligata ad adottare «tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità del dipendente» come stabilito dall’art.2087 del Codice civile. Dopo una riunione dei docenti, con l’intervento di una psicologa, si decise invece di perseguire l’obiettivo «di riuscire a tenere in classe l’allievo scalmanato il più possibile in modo corretto, altrimenti allontanarlo per educarlo al rispetto delle regole».
Insomma, si era deciso di tenere un «atteggiamento flessibile e soft» che, nel prosieguo dell’anno scolastico, diede buoni frutti in quanto la condotta dell’allievo migliorò gradualmente, tanto che la sua «perdurante vivacità non era dissimile da quella di altri compagni di classe». Ma il professore visto che nessuno voleva ricorrere alle maniere forti, presentò le dimissioni e chiese un’ indennità di circa tremila euro alla scuola.
In primo grado il tribunale di Firenze, nel 2002, aveva riconosciuto al docente l’indennità, in quanto «era stato costretto a dimettersi a causa della condotta dello studente, fonte di turbativa delle lezioni scolastiche e anche fonte di pericolo per sé  e per gli altri». La Corte d’appello di Firenze, nel 2004, ribaltò il verdetto sostenendo che nel bagaglio professionale di ciascun docente di scuola media è «necessaria la presenza di doti di pazienza e tolleranza, oltre alle specifiche conoscenze psicopedagogiche dell’età evolutiva e quindi tolse al professore l’indennità. Adesso la Suprema Corte (sentenza n.1988) ha giudicato “coerente” la decisione dei giudici di secondo grado, e ha respinto il ricorso del professore intransigente.


tratto da il messaggero

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