La Corte di Cassazione, con la decisione 593/07, ha ribadito che la misura dell’assegno di divorzio è frutto di una valutazione che deve sempre tenere conto del contributo di entrambi i coniugi alla condizione familiare, precisando che questa regola non viene meno neanche quando uno dei due, quasi sempre la moglie, rimane in casa per svolgere i lavori domestici.
La questione non è da poco. Sembravano passati i tempi in cui nell’immaginario collettivo quello della casalinga era un ruolo privilegiato perchè inconsistente in termini di fatica e di obbligatorietà d’orari. La realtà dimostra il contrario. Ancora oggi, all’atto della separazione e del divorzio, mariti increduli si indignano a fronte del dovere di versare all’ex coniuge un assegno mensile. Verrebbe da ricordare a codesti signori che se proprio avessero voluto al proprio fianco una donna cosiddetta “in carriera”, avrebbero dovuto pensarci prima. Perchè una persona la si sceglie in base a quello che è ma anche sulla scia delle sue aspirazioni nella vita. La personalità è cosa complessa.
L’attribuzione dell’assegno di divorzio è il risultato finale di un complesso di valutazioni con le quali vengono prese in considerazione non solo le esigenze economiche del coniuge più debole, ma anche una serie di indici che danno la misura dell’effettività del matrimonio e di quanto i due sposi abbiano modellato la loro vita personale su quella comune. Il giudice deve tener conto di tutti gli apporti dei coniugi al consorzio familiare, sia sotto il profilo etico, sia sotto il profilo economico, compresi gli apporti che hanno creato una situazione favorevole per le condizioni professionali di uno dei due. E non si può negare che, in determinate circostanze, il fatto che uno dei coniugi resti a casa ad accudire i figli e badare all’andamento generale della famiglia sia uno sgravio notevole sia sul piano materiale che morale.
Che questo debba ignorarsi in sede di separazione o di divorzio, non pare cosa buona e giusta. Tanto più che tutti gli elementi indicati nel VI comma dell’art. 5 l. div., devono essere valutati “anche in rapporto alla durata del matrimonio”. La dedizione di una donna, moglie e madre, alla famiglia ha un valore che non è solo sentimentale e va quantificato necessariamente a fronte del disgregarsi di una famiglia. E’ comodo pensarla diversamente.
Fortuna che i giudici di Piazza Cavour lo hanno bene in mente.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *