Chi vuole il rimborso parli subito o taccia per sempre. Lo impara a sue spese la madre che, dopo il riconoscimento della paternità naturale, non avrà indietro la metà dei soldi che ha speso per allevare il figlio nel periodo che va dalla nascita del bimbo fino a quando è stata proposta l’azione giudiziale per ottenere la dichiarazione di paternità. E se il bambino è piccolo fa bene il giudice a stabilire il mantenimento soprattutto in base alle condizioni economiche dei genitori senza un’analisi inutilmente puntigliosa delle «esigenze attuali» del minore. Lo precisa la sentenza 23630/09, emessa dalla prima sezione civile della Cassazione.


Il caso


La madre dovrà rinunciare all’assegno di quasi 40 mila euro riconosciutole nei primi due gradi di giudizio: la Suprema corte decide nel merito accogliendo il motivo di ricorso del padre naturale, che verserà però un assegno mensile di 1.200 euro per il minore. È vero, il diritto al mantenimento ha efficacia retroattiva: dopo la declaratoria della paternità il figlio acquisisce un nuovo status e per il genitore dichiarato si configura l’obbligo di rimborsare pro quota l’altro genitore per le spese sostenute a decorrere dalla nascita del bambino. Attenzione, però: non scatta da sola la condanna del genitore dichiarato a rifondere all’altro la metà delle spese sostenute per il mantenimento fino alla proposizione dell’azione giudiziale; serve un’esplicita domanda di parte da proporre iure proprio e non in rappresentanza del figlio: si tratta della definizione di rapporti pregressi fra debitori solidali in relazione a diritti disponibili. Nei minori in tenera età è quasi impossibile ravvisare aspirazioni o inclinazioni particolari: fa bene il giudice del merito a determinare il mantenimento riferendosi soprattutto al parametro delle condizioni economiche dei genitori.
 
LA STAMPA

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